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Complesso conventuale di Santa Maria della Porta e San Domenico


Il complesso di Santa Maria della Porta e San Domenico è situato nella zona Nord del centro storico di Salerno, a circa 200 metri dal Duomo, ed è delimitato da via Fratelli Linguiti e Largo San Tommaso d'Aquino a Ovest, via Matteo della Porta a Sud e via Sant'Eremita a Est. Già nel XIII secolo, l’area di interesse, di superficie pari a circa 5000 metri quadri, era in parte occupata dalla chiesa di San Paolo de Palearia, che, nel 1272, per volere dell’arcivescovo Matteo della Porta, fu concessa, insieme agli orti e alle case annesse, ai padri dell’Ordine dei Predicatori. La prima chiesa dedicata a Santa Maria della Porta fu costruita nel 1275, inglobando quella dedicata a San Paolo, e aperta al culto nel 1277 alla presenza delle maggiori autorità dell’Ordine Domenicano e della Chiesa Salernitana. Risale al 1628 la cessione di parte del refettorio del convento, collocato sul lato occidentale del chiostro maggiore, alla Congrega del SS. Nome di Dio e del SS. Rosario, che ne ricavò una chiesa e un luogo per la sepoltura dei confratelli. La sagrestia della chiesa fu annessa solo nel 1758, quando il refettorio del convento fu spostato dal chiostro maggiore a quello minore.Nel XVIII secolo, con l’edificazione della nuova chiesa maggiore in stile barocco, le officine addossate ai muri occidentali e meridionali dell’ormai consolidato complesso, furono interessate da lavori di ristrutturazione. Di quelle ad Ovest sarebbero rimasti solo alcuni muri perimetrali, che oggi separano il complesso dal prolungamento di via Fratelli Lunguiti verso il Monastero di Santa Maria di Montevergine. Quelle a Sud, invece, sarebbero state inglobate negli edifici di Via Matteo della Porta. La data presunta di fondazione è il 1275 quando cominciano i lavori di costruzione della chiesa di Santa Maria della Porta ed annesso convento che inglobano l’originaria chiesa di San Paolo de Palearia. Due anni più tardi viene consacrato il convento ed entra a far parte della provincia Domenicana del Regno di Napoli. Un documento del 1363 dimostra l’interesse e l’importanza del convento tanto che la Regina Giovanna ordina che esso sia incluso tra le mura della città e lasciato intatto, senza alcuna demolizione, seppur piccola, con il pretesto di fortificare la città. Nel 1628 la parte meridionale del refettorio è ceduta alla Confraternita del SS. Nome di Dio e del SS. Rosario.Nel XVIII secolo è sede della Accademia fisico-matematica degli Irrequieti e quella dei Rozzi risvegliati, che si proponeva di rinnovare le precedenti Accademie.Non fu diversa la sorte di questo complesso monastico circa le soppressioni napoleoniche. Infatti nel 1807 viene soppresso e i frati vengono trasferiti presso la sede di Solofra e i suoi locali saranno destinati ad uso demaniale.[1]Diversi furono i tentativi dell’Arcivescovo di Salerno di rispristinare il convento ma tutti con esito negativo. Nel 1860 Schulz ha rilevato il chiostro, se ne possono visionare dei bellissimi disegni dai quali si rileva come l’archeggiatura fosse diversa in ogni lato.Nel ‘900 l’edificio subisce lavori di ristrutturazione che stravolgono la distribuzione interna ai piani superiori. Dal 2015 l’antica fabbrica ospita la Caserma Pisacane, comprendente gli Uffici della Polizia Scientifica, l’Ufficio Tecnico-Logistico e l’Ufficio Immigrazione della Questura di Salerno. [1] Pasca M., Il Centro Storico di Salerno, Salerno 2000.


l'ecodeichiostri MANIFeST: 

 

L’eco dei chiostri è un viaggio nel cuore degli antichi conventi salernitani, nostra terra di indagine e lavoro, un viaggio fatto di splendori e successivi abbandoni, un viaggio che possa far rivivere le antiche insulae conventuali all’interno e intorno ai chiostri. Sembra quasi di risentire oggi le voci oranti e i canti gregoriani dei monaci che li hanno abitati; sembra che quei muri oggi distrutti siano ancora pronti a farsi affrescare da abili mani; sembra che quelle stanze umili siano ancora adatte alla preghiera e al raduno; sembra che quei complessi, più o meno grandi e maestosi, possano ancora oggi continuare ad essere delle isole di resistenza contro la frenesia della società contemporanea; sembra che possano ancora fermare il tempo anche se il tempo su di loro è invecchiato troppo in fretta, tanto che oggi ne sentiamo solo un’eco lontana. Il convento di Santa Maria della Consolazione, il Monastero di Santa Maria di Montevergine, quello di San Domenico e gli altri vorrebbero essere rivissuti oggi dall’uomo contemporaneo che ha il difficile compito di trasformare quell’eco lontana in una voce limpida e forte per l’uomo di oggi e di domani. Per questo motivo L’eco dei chiostri vuole essere una risposta concreta all’abbandono e alla dimenticanza di luoghi troppo carichi di memoria storica per essere dimenticati, dimostrando come un’altra strada a musei dell’abbandono a cielo aperto possa essere possibile e percorribile oggi

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