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Monastero di San Michele Arcangelo

L’edificio sorge nel pieno centro storico di Salerno nel rione Bastioni, ad est rispetto al Duomo di San Matteo e ad ovest rispetto al Museo Archeologico Provinciale che era parte del convento di San Benedetto. Il monastero è benedettino dalle origini fino all'anno 1589 poi francescano di Santa Chiara in seguito, fino alla soppressione del 1866.

Nel 1275 il monastero di S. Michele, per donazione dell'ultimo erede di Giovanni da Serpico, acquista in proprietà feudale il casale di San Michele di Serino. L’ufficialità circa la presenza di questo monastero a Salerno si avrà nel 1309 quando è censito nella lista dei monasteri della città.

Nel 1471 le monache acquistano da Francesco Borda un immobile posto in frontespizio della chiesa monastica per ampliare gli ambienti a loro disposizione; esso era costituito da diversi locali sotterranei e da camere superiori, con due ingressi, uno dalla strada, attraversando un locale con forno, l’altro in frontespizio della chiesa di origine longobarda. In occasione della visita pastorale del 17 marzo 1574 si danno disposizioni

affinché si alzino le mura nel giardino e la chiesa resti fuori della clausura.

Nel XVII secolo inizia il periodo francescano, costellato da continue opere di rinnovamento.

Infatti nel 1630 è interessato da un’ampia ristrutturazione che incorpora l’adiacente Santo Spirito Nuovo. In tale contesto si inseriscono un documento del 1630 e due del 1631; con il primo si procede all’appalto relativo alle nuove fabbriche del San Michele Arcangelo da realizzarsi sul sito del Santo Spirito Nuovo; con il secondo le monache dichiarano che, alcuni giorni prima, era caduto un muro con parte di camere e pavimento contiguo alle nuove fabbriche che si stavano innalzando utilizzando il danaro donato dalla città; con il terzo il procuratore del monastero acquista a Castellammare di Stabia due partite di pietre spaccate napoletane, per complessive venticinquemila unità, da scaricarsi alla marina di Portanova entro il 20 Settembre successivo e da utilizzarsi per i lavori in esecuzione.

Quindi le suore del monastero, viste le condizioni del convento, chiedono un finanziamento per lavori di riparazione. I lavori iniziano intorno alla seconda metà del 1700 e durano, con pause più o meno lunghe, fino al 1800 quando le monache richiedono altri fondi per ulteriori opere di riparazione.

Come tutti i monasteri, nel 1866 viene colpito dalla soppressione in seguito alla leggi eversive. L’ex convento viene adibito ad Ufficio provinciale di Leva. La chiesa viene affidata al clero secolare e solo alcune camere restano nella disponibilità delle clarisse fino alla morte dell'ultima monaca. Nel 1903 il monastero viene ceduto al Comune. Nel 1941 parte dei locali dell’ex monastero di San Michele è restituita all’arcivescovo di Salerno che a sua volta la cede, con la chiesa, ai padri della congregazione delle Missione di San Vincenzo de’ Paoli, fino a quando, nel 2006, il comune cede una porzione dell’immobile alla Fondazione Salernitana Sichelgaita.

l'ecodeichiostri MANIFeST: 

 

L’eco dei chiostri è un viaggio nel cuore degli antichi conventi salernitani, nostra terra di indagine e lavoro, un viaggio fatto di splendori e successivi abbandoni, un viaggio che possa far rivivere le antiche insulae conventuali all’interno e intorno ai chiostri. Sembra quasi di risentire oggi le voci oranti e i canti gregoriani dei monaci che li hanno abitati; sembra che quei muri oggi distrutti siano ancora pronti a farsi affrescare da abili mani; sembra che quelle stanze umili siano ancora adatte alla preghiera e al raduno; sembra che quei complessi, più o meno grandi e maestosi, possano ancora oggi continuare ad essere delle isole di resistenza contro la frenesia della società contemporanea; sembra che possano ancora fermare il tempo anche se il tempo su di loro è invecchiato troppo in fretta, tanto che oggi ne sentiamo solo un’eco lontana. Il convento di Santa Maria della Consolazione, il Monastero di Santa Maria di Montevergine, quello di San Domenico e gli altri vorrebbero essere rivissuti oggi dall’uomo contemporaneo che ha il difficile compito di trasformare quell’eco lontana in una voce limpida e forte per l’uomo di oggi e di domani. Per questo motivo L’eco dei chiostri vuole essere una risposta concreta all’abbandono e alla dimenticanza di luoghi troppo carichi di memoria storica per essere dimenticati, dimostrando come un’altra strada a musei dell’abbandono a cielo aperto possa essere possibile e percorribile oggi

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