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Scopriamo Palazzo San Massimo

L’ex Palazzo Maiuri, meglio noto con il nome di Palazzo San Massimo, residenza nobiliare sorta nel corso del ‘700, è stato sede del Convitto Genovesi, poi del liceo artistico Statale e negli ultimi anni di Uffici del Comune cui è passato in proprietà dalla famiglia Maiuri. Tra l’861 e l’865 si assiste alla fondazione della Chiesa di San Massimo, per volere del principe Longobardo Guaiferio, in onore di San Massimo.

Nell’883 un documento testimonia la presenza del Monastero di San Massimo nato come sede dei Benedettini annessi all’Ospizio e alla chiesa di San Massimo. L’Ospizio di Mendicità fu costruito probabilmente nell’820 ed è il primo che si conosce a Salerno, ma è ormai difficile individuarne la sede.

Alla fine del primo millennio, Giovanni II diventa principe di Salerno, nonché erede principale della proprietà di San Massimo, mediante dei legami con il principe Pandolfo I, ultimo erede diretto di Guaiferio. I diritti di proprietà della nuova famiglia principesca si protraggono fino a Gisulfo II, che nel 1054 interviene come dominus della chiesa. Nel 1076 l’ordine dei Benedettini della Badia venne in possesso di tutto il palazzo di San Massimo e delle sue adiacenze, e dei beni anteriormente elargiti a beneficio dell’ospizio e della Chiesa. Il dominio incontrastato di San Massimo, che durava da ben tre secoli, sarà destinato a finire.

Nel 1620, i Benedettini, i quali non avevano più alcun interesse per la città di Salerno, accettano l’offerta di cedere Palazzo San Massimo ai fratelli Abbate Matteo e Francesco Antonio Granito (vescovo di Cava e poi di Amalfi) con la speranza che i restauri da questi promessi l’avrebbero salvato da sicura rovina e che sempre sarebbe stato rispettato l’obbligo assunto di non abbattere o diroccare la Chiesa di San Massimo, né vendere od alienare colonne o marmi e volendo modificare ed ampliare o migliorare detta chiesa il tutto si faccia con il consenso scritto del s.o Sacro Monastero.

Nel 1664 la Badia della SS. Trinità di Cava vende la proprietà di San Massimoa Bartolomeo Mauro Seniore,con atto rogato dal notaio Giovani Andrea Passaro di Cava dei Tirren , che ne fa la dimora per la sua famiglia. Ha inizio la destinazione residenziale del complesso.

Nel 1755 il giardino pergolato intorno al quale si articolava Palazzo San Massimo, fu eliminato e sostituito da una grossa sala con colonne a stucco e arricchita da motivi in foglie e frutti e da un pavimento maiolicato quasi a creare in chi entra l’impressione di trovarsi nell’antico pergolato.

L’edificio è attualmente inaccessibile, fatta eccezione per il lato sud che ospita al piano terra e al piano primo locali ad uso residenziale.

l'ecodeichiostri MANIFeST: 

 

L’eco dei chiostri è un viaggio nel cuore degli antichi conventi salernitani, nostra terra di indagine e lavoro, un viaggio fatto di splendori e successivi abbandoni, un viaggio che possa far rivivere le antiche insulae conventuali all’interno e intorno ai chiostri. Sembra quasi di risentire oggi le voci oranti e i canti gregoriani dei monaci che li hanno abitati; sembra che quei muri oggi distrutti siano ancora pronti a farsi affrescare da abili mani; sembra che quelle stanze umili siano ancora adatte alla preghiera e al raduno; sembra che quei complessi, più o meno grandi e maestosi, possano ancora oggi continuare ad essere delle isole di resistenza contro la frenesia della società contemporanea; sembra che possano ancora fermare il tempo anche se il tempo su di loro è invecchiato troppo in fretta, tanto che oggi ne sentiamo solo un’eco lontana. Il convento di Santa Maria della Consolazione, il Monastero di Santa Maria di Montevergine, quello di San Domenico e gli altri vorrebbero essere rivissuti oggi dall’uomo contemporaneo che ha il difficile compito di trasformare quell’eco lontana in una voce limpida e forte per l’uomo di oggi e di domani. Per questo motivo L’eco dei chiostri vuole essere una risposta concreta all’abbandono e alla dimenticanza di luoghi troppo carichi di memoria storica per essere dimenticati, dimostrando come un’altra strada a musei dell’abbandono a cielo aperto possa essere possibile e percorribile oggi

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